Invalidità e diabete: istruzioni per l'uso

 

LA VALUTAZIONE A FINI DI INVALIDITA’ CIVILE E HANDICAP

DEL MINORE AFFETTO DA DIABETE MELLITO TIPO I

 

LINEE – GUIDA

 

 

 

 

PREMESSA

 

Com’è noto, la storica classificazione del diabete mellito, proposta dall’OMS nel 1980, ne prevedeva, in base a un criterio misto, terapeutico e patogenetico,  la suddivisione in cinque classi cliniche:

 

Criteri NDDG (1979) modificati da OMS (1980)

 

Diabete mellito insulino-dipendente (IDDM) già definito diabete infanto-giovanile
Diabete mellito non insulino-dipendente (NIDDM) già definito diabete dell’età adulta
Diabete mellito da malnutrizione
Altri tipi di diabete secondari a: malattie pancreatiche
sindromi ormonali
farmaci o tossici
anomalie dell’insulina o del recettore
malattie genetiche
Diabete mellito gestazionale

 

 

Il progresso delle conoscenze sulle cause dei vari tipi di diabete ha portato, nel 1997, la American Diabetes Association (ADA) a proporre una classificazione esclusivamente etiologica, recepita dall’OMS nel 1999  e  marginalmente rivisitata dalla stessa ADA  nel 2014 ( cfr.“Diabetes Care, Vol. 37, suppl. 1, gennaio 2014”).

 

 

Classificazione etiologica del diabete mellito ( ADA 1997 – 2014)sempl.

Diabete mellito tipo 1

Distruzione

delle cellule β

immunomediata
idiopatica
Diabete mellito tipo 2

Deficit secretorio e

insulino resistenza

A prevalente deficit
A prevalente resistenza
Altri tipi specifici

Difetti genetici delle cellule β

(d. monogenico)

Forme giovanili affini al tipo 2

  • MODY 1
  • MODY 1
  • MODY 3
  • MODY rare (4 -13)

Diabete neonatale

Diabete mitocondriale

Difetti genetici  dell’azione insulinica

Resistenza all’insulina tipo A
Diabete lipo-atrofico

Malattie del pancreas esocrino

pancreatiti
traumi
neoplasie
Fibrosi cistica
emocromatosi

Endocrinopatie

acromegalie
cushing
glucagonoma
feocromocitoma

Farmaci o tossici

Acido nicotinico
glicocorticoidi
Ormone tiroideo
Agonisti βagonisti

Infezioni

Rosolia congenita
cytomegalovirus

Forme rare  immunomediate

Stiff-man syndrome
Anticorpi anti-recettore

Altre sindromi genetiche

Down
Klinefelter
Turner
Diabete mellito gestazionale

Le considerazioni espresse nelle presenti linee guida attengono esclusivamente alla valutazione del diabete mellito tipo 1 ( DMT1) insorto prima dei 18 anni di età  e sono estensibili alle altre forme di diabete ad insorgenza in età pediatrica (quali le forme MODY – Maturity Onset Diabetes of the Young-) solo allorché esse comportino, al pari del DMT1, la necessità del  trattamento insulinico.

 

 

DIABETE MELLITO TIPO 1

 

Il diabete mellito tipo 1 rappresenta meno del 10% di tutte le forme di diabete mellito. La sua prevalenza è pari circa a 0,5%. Costituisce indubbiamente una delle malattie croniche più frequenti dell’infanzia  e la sua incidenza  è stimata tra 6 e 10 casi per 100.000 per anno nella fascia di età da 0 a 14 anni e tra 6 e 7 casi per 100.000 per anno nella fascia di età da 15 a 29 anni.

I registri nazionali e internazionali  (DIAMOND e EURODIAB) dimostrano che l’incidenza del DMT1 è in rapido e costante aumento (+ 3-4%/anno) soprattutto fra i bambini più piccoli (+5,4%/anno  nella fascia 0-4 anni).

In Italia è attivo, a partire dal 1997, su progetto inter-associativo della Società Italiana di Diabetologia  (SID) e della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica ( SIEDP), il Registro Italiano per il diabete di tipo 1. Ne risulta che in Italia oggi sono circa 20.000 i bambini e gli adolescenti affetti da DMT1. Nel nostro Paese l’incidenza del DMT1 è particolarmente alta in Sardegna dove risulta circa 3 volte superiore  rispetto all’Italia peninsulare, che peraltro non presenta particolari differenze tra Nord e Sud. ( “Manuale operativo per l’applicazione del ‘Piano sulla Malattia Diabetica’ in età pediatrica” SIEDP, febbraio 2014)

 

Patogeneticamente  il DMT1 è caratterizzato da una distruzione progressiva, fino alla scomparsa, delle cellule β insulino-secernenti dovuta, nella maggior parte dei casi,  a meccanismi autoimmunitari (DMT1 immunomediato), documentati dal riscontro di specifici markers (ICA, GAD, IA2, IAA, ZnT8),   più raramente senza causa apparente ( DMT1 idiopatico,  che si manifesta principalmente in soggetti di etnia africana o asiatica).

Sotto il profilo etiologico esistono dati in favore di una predisposizione genetica (legata  probabilmente agli antigeni di istocompatibilità HLA-DR)  all’azione di un qualche stimolo esogeno capace di innescare una risposta immunitaria auto-aggressiva.

 

Il DMT1  autoimmune si può associare ad altre patologie croniche ad analoga patogenesi  come la tiroidite di Hashimoto ( 12-15% dei casi), la celiachia ( 6%) la sclerosi multipla ( 1-2%) e l’Addison (1%).

 

La velocità di distruzione delle cellule β, una volta avviatosi il processo autoimmunitario,  è variabile. La forma  a progressione rapida si manifesta principalmente, ma non esclusivamente, nei bambini; la forma  a progressione lenta è tipica degli adulti e viene talora  definita come diabete autoimmune latente dell’adulto.

 

 

Sintomatologia

 

L’esordio clinico del diabete mellito tipo 1 avviene in oltre il  50% dei casi  prima dei 20 anni e più frequentemente all’epoca della pubertà. E’ possibile tuttavia che la malattia si presenti sin dalla prima infanzia e anche nel corso del primo anno di vita.

In tutti i casi l’esordio è sintomatico con poliuria, nicturia,  polidipsia, polifagia (che non si accompagna ad incremento ponderale ma spesso a dimagramento).

Talora la malattia si manifesta in occasione di un evento stressante ( infezioni, traumi, interventi chirurgici)  con i segni della cheto-acidosi  ( anoressia, nausea, vomito, dolori addominali) o addirittura del coma chetoacidosico ( disidratazione, respiro di Kussmaul, alito acetonico).

Gli esami di laboratorio svelano iperglicemia a digiuno e soprattutto dopo i pasti, glicosuria in genere molto rilevante, ipoinsulinemia o insulina non dosabile,  presenza di  corpi chetonici e nella maggioranza dei casi di uno o più markers di attività autoimmunitaria  (ICA, GAD, IA2, IAA, ZnT8) contro le cellule insulari.

Nel coma chetoacidosico le urine mostreranno alta glicosuria e intensa positività alle reazioni per i corpi chetonici. Nel sangue si rileva marcata iperglicemia ( in genere tra i 500 e i 700 mg/dl), presenza di corpi chetonici, iponatremia modesta, iperpotassemia, iperosmolarità, ipertrigliceridemia e aumento degli acidi grassi liberi. Sul sangue arterioso si evidenzierà riduzione  ( con valori anche prossimi a 7,0) del PH e diminuzione della pressione parziale di CO2.

 

Complicanze del diabete tipo 1

 

Le complicanze acute più tipiche sono rappresentate dal coma cheto-acidosico e dal coma ipoglicemico  che, se non adeguatamente trattati, possono costituire causa di exitus.

Le complicanze croniche del diabete tipo 1 sono le medesime  del diabete mellito tipo 2:

  • macroangiopatia aterosclerotica con possibili disturbi ischemici   cardiaci, cerebrali e a carico degli arti;
  • microangiopatia, a carico del rene ( glomerulopatia diabetica), della retina (retinopatia diabetica, semplice o proliferante) e del sistema nervoso periferico ( neuropatia diabetica);
  • il quadro di neuropatia periferica, prevalentemente sensitiva e vegetativa,  oltre che alla microangiopatia è attribuito anche ad un danno diretto delle strutture nervose, forse dovuto a meccanismi di glicosilazione non enzimatica delle proteine strutturali;
  • infezioni intercorrenti, causate da una ridotta efficienza dei granulociti;
  • l’ulcera diabetica ( piede diabetico) dovuta al concorrere della neuropatia, della macroangiopatia e delle sovrapposizioni infettive.

 

Le complicanze iatrogene, dovute a reazioni all’insulina nella sede di ripetute iniezioni sottocutanee,  possono presentarsi come lipoatrofia, lipoipertrofia o come reazioni allergiche.

 

 

Terapia

Il diabete di tipo 1  è una malattia cronica  per la quale, attualmente, non è prevedibile guarigione e comporta, di necessità, la somministrazione a vita di terapia infusionale  con insulina per il mantenimento di un buon compenso metabolico.

Gli obiettivi terapeutici sono chiaramente delineati nel già citato “Manuale operativo” della SIEDP:

  • “mantenere l’omeostasi metabolica il più vicino possibile allo stato non diabetico;
  • evitare l’insorgenza di complicanze a breve medio termine ( gravi ipo e iperglicemie);
  • consentire un normale accrescimento ed una buona qualità di vita del bambino diabetico;
  • evitare l’insorgenza di complicanze a lungo termine”.

L’indicatore di “qualità della cura” più conosciuto è l’HbA1c%.

 

Attualmente la disponibilità di preparati insulinici più “fisiologici”  rispetto alle molecole di origine bovina o suina usate un tempo  e di prodotti diversi in base alla rapidità d’azione (insulina rapida, lenta, ultralenta, ad azione ritardata) rende più facile che in passato il controllo della glicemia in questi pazienti e una migliore qualità di vita.

Il monitoraggio della terapia e l’adeguamento delle dosi richiedono inoltre misurazioni quotidiane e più spesso pluriquotidiane della glicemia.

 

In alternativa alla terapia tradizionale multi-iniettiva per via sottocutanea, è oggi possibile ricorrere  all’infusione continua con microinfusori. Si tratta di dispositivi portatili di piccole dimensioni, paragonabili a quelle di un cellulare, che rilasciano insulina ad azione rapida 24 ore su 24 attraverso un tubo sottile e un’agocannula (set di infusione) inserita nel sottocute. La quantità di insulina rilasciata è personalizzabile in base alle esigenze del paziente.

Il microinfusore può essere programmato affinché eroghi insulina in continuo – profilo basale – per controllare la glicemia tra i pasti e durante il sonno. Dopo i pasti, inoltre, per coprire l’introito di cibo il paziente può somministrarsi autonomamente un bolo di insulina in dose  determinata attraverso il calcolo  della quantità di carboidrati assunti.

Anche quando si utilizza un microinfusore è comunque necessario monitorare i livelli glicemici nel corso della giornata e adeguare le dosi di insulina in base all’assunzione di cibo e all’attività fisica praticata. Il set di infusione, inoltre, deve essere sostituito frequentemente.

 

Altra possibilità terapeutica è costituita dall’impianto, in una tasca sottocutanea della parete addominale, di una pompa i  per l’infusione continua e a richiesta di insulina nella cavità peritoneale. Il principale svantaggio di questo sistema è costituito dalla frequenza con cui il catetere va incontro ad occlusione  rendendo necessario l’intervento del chirurgo. Il rischio principale è l’ipoglicemia.

Una particolare variante di pompa impiantabile è provvista di sensori per la determinazione continua della glicemia con rilascio “fisiologico”  dell’insulina.  Questi modelli di pompe impiantabili con sensori  hanno un rischio di episodi ipoglicemici gravi inferiore ai normali microinfusori.

 

Il trapianto di pancreas, per la necessità di un trattamento immunosoppressivo cronico, è ancora oggi sostanzialmente  limitato ai pazienti che debbano essere sottoposti anche a trapianto di rene per nefropatia diabetica avanzata.

L’allotrapianto di isole pancreatiche, ad oggi, fornisce ancora risultati a distanza inferiori rispetto al trapianto d’organo.

 

La terapia genica e l’uso delle staminali vanno considerati, allo stato, come campi di ricerca con potenzialità tutte da verificare.

 

 

 

 

L’impegno del minore, della famiglia e della scuola nel trattamento del DMT1.

 

Secondo le raccomandazioni  prospettate dallo “Standard italiano per la cura del diabete”, pubblicate  congiuntamente dalla SID ( Società Italiana di Diabetologia) e dalla AMD ( Associazione Medici Diabetologi) in data 28 maggio 2014, il paziente in trattamento insulinico deve essere educato a :

  • avere le abilità necessarie per effettuare la rilevazione della propria glicemia;
  • saper interpretare i risultati come base per intraprendere una azione;
  • percepire i collegamenti tra specifici comportamenti (alimentazione, esercizio fisico) e i risultati della misurazione glicemica, prendendo da questi la motivazione al cambiamento dei comportamenti;
  • mettere in atto autonomamente  comportamenti correttivi, farmacologici  e non, in risposta ai risultati delle misurazione glicemiche, soprattutto per la prevenzione del rischio ipoglicemico”.

 

L’autocontrollo glicemico deve essere considerato una componente essenziale dell’autogestione quotidiana  dei pazienti con DMT1.

Le raccomandazioni SID-AMD suggeriscono, per i pazienti in età inferiore a 18 anni, 6-8 controlli/die  e consigliano un controllo ancora più stretto nei bambini più piccoli.

Nelle sue raccomandazioni del 2014 l’ADA  consiglia che nei pazienti in terapia multiniettiva  o con microinfusore il controllo della glicemia sia eseguito sistematicamente prima dei pasti  e degli spuntini, occasionalmente dopo i pasti principali, prima di andare a letto e prima di un esercizio fisico, sempre nel sospetto di ipoglicemia  e dopo la correzione della ipoglicemia stessa.

E’ evidente come tale attività, indispensabile per la prevenzione delle complicanze microangiopatiche,  sia particolarmente delicata  e impegni  necessariamente oltre che il piccolo paziente anche gli adulti di riferimento, familiari o personale scolastico.

L’adulto di riferimento è chiamato a  “ricordare” al bambino l’appuntamento pluriquotidiano con la misurazione, ad aiutarlo  nell’interpretazione del rilievo  e nella successiva fase  decisionale-terapeutica,  a   conservare adeguatamente e a gestire con modalità sterili il complesso dei presidi di uso quotidiano ( siringhe per insulina, agli e lancette pungi dito, reattivi per la ricerca di glucosio e corpi chetonici nelle urine, reattivi per il dosaggio della glicemia su sangue capillare).

 

Va inoltre considerato che il minore, ancorché in ottimale controllo glicemico, dovrà sottoporsi periodicamente a controlli oculistici, nefrologici, neurologici, psicologici, cardiologici, odontoiatrici al fine di cogliere tempestivamente l’eventuale comparsa di complicanze.

 

Né va dimenticato come nel minore con DMT1 eventi intercorrenti anche banali, come malattie infettive o piccoli traumatismi,  comportino la necessità di riesaminare  e adeguare il trattamento farmacologico  e talora l’ospedalizzazione.

 

 

L’impatto socio-assistenziale del diabete mellito tipo 1

 

La natura di malattia di “alto interesse sociale” del diabete mellito è stata riconosciuta dal Legislatore italiano  già  con l’art. 1 della Legge 16 marzo 1987, n. 115. “Disposizioni per la prevenzione e la cura del diabete mellito.” (Pubblicata nella G.U. 26 marzo 1987, n. 71).

Più recentemente le problematiche socio-assistenziali del diabete mellito insorgente nell’età evolutiva  sono state  compiutamente delineate  nel “Piano sulla malattia diabetica” redatto dalla Commissione Nazionale Diabete del Ministero della Salute, approvato il 6 dicembre 2012 (G.U. febbraio 2013).

 

La Commissione ministeriale, infatti, sottolinea come il diabete mellito dell’età evolutiva sia “la più comune malattia cronica fra i bambini” (pag.6) e sia  “caratterizzato da una forte instabilità e, quindi, da una gestione estremamente difficile in relazione a peculiarità fisiologiche, psicologiche e nutrizionali. Il bambino/adolescente con diabete vive un disagio transitorio in relazione all’età e allo stadio di maturità; ciò comporta uno svantaggio e una limitazione di grado variabile allo svolgimento delle funzioni tipiche dell’età, imponendo un peso che deve essere sopportato anche dai genitori, dai fratelli, dai parenti dalla scuola e dalla comunità in genere” ( pag. 64).

 

Nel medesimo testo ( pag. 65) si elencano, tra le altre,   le seguenti criticità nella gestione del diabete in età evolutiva:

  • “i mutamenti della società influenzano negativamente la famiglia (famiglie monoparentali o problematiche, ritmi di lavoro accelerati)  e creano difficoltà nel ruolo educativo;
  • le difficoltà in ambito scolastico possono determinare sentimenti di diversità e condizioni di esclusione, con limitazione del benessere psico-fisico e rischio di associazione con problemi psico-sociali e comportamentali  quali difficoltà relazionali, ansia, depressione e disturbi del comportamento alimentare;
  • le resistenze basate su pregiudizi e ostacoli legati talora a normative obsolete, interferiscono gravemente sul coinvolgimento dei pazienti nelle attività scolastiche ed extra-scolastiche”.

 

Nel delineare le caratteristiche della “rete di assistenza diabetologica dell’età evolutiva”  la Commissione  sottolinea come “il diabete interferisce in ogni aspetto della vita e delle esperienze del bambino/adolescente”  e come esista nella popolazione “ una scarsa consapevolezza del carico umano  e sociale che grava sul bambino/adolescente affetto da diabete” sicché “la cura deve essere impostata non solo sotto il profilo biomedico, ma anche sotto quello psicosociale” (pag. 47).

 

Nel documento viene attribuito particolare rilievo al contesto relazionale familiare e scolastico e non solo per il fatto che “ la terapia , che non può essere eseguita nella maggior parte dei casi in maniera autonoma dal bambino, deve essere garantita da altri in tutti gli ambienti di vita” ( pag. 50).

 

In particolare la famiglia è individuata come la principale protagonista e responsabile “ della qualità della vita e della prevenzione delle complicanze  a distanza” e di conseguenza  costituisce il  destinatario prioritario del “programma educativo/motivazionale specifico sulla malattia “ da parte delle “funzioni specialistiche” del SSN.

 

Alla scuola viene riconosciuto un doppio ruolo: “da una parte rappresenta un momento importantissimo nel graduale processo di accettazione  del diabete  e di autonomia da parte del bambino e del ragazzo, dall’altra costituisce una opportunità di educazione nutrizionale”.

Né sfugge agli estensori del testo ministeriale che “l’obiettivo primario da perseguire è la sicurezza in ambito scolastico, in particolare per quanto riguarda la somministrazione della terapia e la gestione di eventuali emergenze metaboliche ( ad es. la ipoglicemia)”.

 Viene pertanto previsto, a integrazione delle “Linee guida per la definizione degli interventi  finalizzati all’assistenza di studenti che necessitano di somministrazione di farmaci in orario scolastico” ( Ministeri della Salute e dell’Istruzione, 25 novembre 2005), che “allo scopo di aiutare la scuola  a svolgere al meglio il suo ruolo, sia sotto il profilo della crescita psicologica sia sotto quello dell’assistenza  e vigilanza, i team specialistici daranno la loro disponibilità  per incontri di formazione  con i dirigenti scolastici  e gli insegnanti che seguono un alunno con diabete” (pag. 51).

 

Secondo le raccomandazioni SID-AMD del 2014, “lo studente con diabete deve poter partecipare  a tutte le attività scolastiche, compresi i programmi di attività fisica, gite o altri eventi”  e a tal fine “un numero adeguato di insegnanti o altri dipendenti della scuola dovrebbe essere addestrato alle procedure necessarie in caso di ipoglicemia” e alla “supervisione” del minore.

 

Particolare importanza formativa viene oggi attribuita ai “campi scuola”  che “inizialmente intesi come supporto alle famiglie con disagio sociale, sono oggi riconosciuti dalle principali istituzioni diabetologiche internazionali (ADA, IDF, ISPAD)”  come “un’opportunità finalizzata a migliorare le capacità di integrazione sociale” per tutti i giovani diabetici, al fine di “promuovere l’educazione specifica per l’autogestione del diabete in ambiente protetto; stimolare l’indipendenza nella gestione del diabete in assenza di familiari; favorire il confronto con i coetanei; sviluppare il processo di autostima, la responsabilizzazione, il controllo emotivo e far superare ogni sensazione di isolamento  e di diversità” (Piano sulla malattia diabetica, pag. 52).

 

E’ opportuno sottolineare come l’attività fisica e sportiva svolta dai minori con DMT1 non debba essere considerata, specie a fini medico-legali, come la prova di un “compenso ottimale” ma  come una fondamentale esigenza terapeutica. Infatti un costante esercizio fisico di tipo aerobico, almeno 3-4 volte per settimana, migliora l’efficacia del trattamento insulinico, riduce l’emoglobina glicosilata, riduce i trigliceridi e il colesterolo totale, innalza la frazione HDL, svolge un ruolo protettivo sul rischio macro e microangiopatico e riduce il rischio cheto-acidosico e/o ipoglicemizzante dell’esercizio fisico occasionale.

 

 

 

La valutazione del diabete mellito tipo 1 a fini di invalidità e handicap

 

La breve disamina condotta sugli aspetti clinici del diabete mellito tipo 1, sull’impegno terapeutico che esso comporta e sulle indicazioni socio-assistenziali  recentemente dettate dal Ministero della Salute non può che approdare ad una prima considerazione basilare e  propedeutica ad ogni proposta valutativa.

L’acquisizione, da parte del minore affetto da diabete mellito tipo 1, della necessaria consapevolezza di dover convivere con una malattia cronica non guaribile,  ma  solo controllabile,  e al contempo  della indispensabile competenza a gestire il trattamento terapeutico, rappresenta un processo graduale, lento ed  inevitabilmente legato alla  sua complessiva maturazione psico-fisica.

L’autonoma competenza alla terapia, infatti , non si esaurisce  nella sola capacità manuale di  auto-inoculazione del farmaco ma presuppone invece l’acquisizione di  compiute capacità di critica, giudizio e autodeterminazione tali da permettere di fronteggiare nel modo più opportuno  le estemporanee esigenze di adeguamento terapeutico proposte da variazioni dell’alimentazione o dell’attività fisica ovvero dalla comparsa di sintomi indicativi di una condizione di ipo o iperglicemia.

Si tratta evidentemente di una attività cognitivo-volitiva  tanto complessa quanto delicata e pericolosa per le possibili conseguenze di un errore valutativo.

 

A tal proposito non si può non ricordare  che, pur in altri ambiti e a fini diversi, la capacità di autodeterminazione da parte del minore  sia esclusa prima dei 14 anni di età e debba essere valutata caso per caso tra i 14 e 18 anni, risultando presunta solo al raggiungimento della maggior età.

 

Su tali presupposti, considerando prioritaria la tutela della salute e della sicurezza del minore  e allo stesso tempo eccedente dalle possibilità della commissione valutatrice una compiuta valutazione sul suo grado di maturità, la Commissione Medica Superiore  ritiene che per i minori  affetti da diabete mellito tipo 1, si debba:

 

  1. riconoscere in ogni caso la sussistenza di difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni propri dell’età,  ai fini dello status di “minore invalido” e del conseguente diritto all’indennità di frequenza;

 

  1. riconoscere in ogni caso la sussistenza della condizione di handicap con connotazione di gravità,  con previsione di revisione al raggiungimento dell’età adulta.

 

Tale orientamento oltre che soddisfare pienamente l’obiettivo  più generale perseguito dalla Commissione Medica Superiore INPS di  promuovere in ogni caso una valutazione medico legale fondata sull’evidenza clinica, garantisce al minore portatore di una malattia cronica, come è il diabete mellito, l’assistenza scolastica necessaria  a permettergli la massima espressione delle sue qualità e capacità  nell’ottica futura di un pieno inserimento nella società e nel mondo del lavoro.

 

Infatti, come sottolineato , già nel 1992,  in un documento congiunto dalla IDF (International Diabetes Federation) e dall’ISPA ( International Society for Pediatric and Adolescent Diabetes), “..un bambino non può lottare per i suoi diritti. Pertanto è compito della società fornire aiuto al bambino e alla famiglia. Quest’aiuto dovrebbe includere risorse mediche, sociali e pubbliche..” ( “Manuale operativo per l’applicazione del ‘Piano sulla Malattia Diabetica’ in età pediatrica” SIEDP, febbraio 2014).

 

Il Presidente della Commissione Medica Superiore

Prof. Massimo Piccioni

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